QUANTO VALE LA VITA DI UN GIOVANE STUDENTE?

da | Gen 16, 2023 | Attualità | 0 commenti

Qualsiasi persona di buon senso risponderà che non è possibile fissare un valore economico per una vita umana, tanto più se si tratta di un giovane.

Non la pensano così le nostre Istituzioni, che non hanno riconosciuto alcun risarcimento alla famiglia del giovane G. D., morto in fabbrica, schiacciato da una lastra di acciaio.

Che cosa ci faceva in fabbrica un giovane studente? Semplicemente il suo dovere.

Poiché, si dice, gli studenti devono arrivare adeguatamente “formati” al mondo del lavoro, lo Stato, abdicando alla sua missione, ha esonerato le imprese dal compito di formazione all’accesso al lavoro, caricandolo sulla scuola: è la cosiddetta “buona scuola”, voluta dal governo Renzi, con cui la scuola è chiamata ad attuare i PCTO (Percorsi per le Competenze trasversali e l’Orientamento), meglio conosciuti come moduli di formazione Scuola-Lavoro.

Secondo il principio dominante, il “mercato” va aiutato e le imprese devono poter disporre di giovani risorse umane in pronto impiego, che siano in grado sin da subito di concorrere al risultato produttivo ed economico. Può succedere però che durante queste esperienze formative, qualche giovane ci rimetta la vita, come è successo appunto a G.D., che purtroppo non è la prima vittima come non sarà l’ultima se non cambiano le regole.

Dopo il tragico incidente, com’è giusto che sia, si sono avviate tutte le procedure per l’accertamento di eventuali responsabilità, come anche del risarcimento del danno ai familiari.

Naturalmente, abbiamo chiarito subito, fin dall’inizio, che una vita umana non può essere, propriamente, “risarcita”, non vi è compensazione adeguata per un simile dramma. Tuttavia, è ovvio che riconoscere il danno, anche in termini economici, è un atto non solo giusto, ma dovuto. Ebbene: tenetevi forte, perché vi si gelerà il sangue nell’apprendere che l’INAIL non ha riconosciuto nessun risarcimento! E sapete perché? Unicamente perché il giovane G.D., in quanto stagista, non sarebbe equiparabile a un normale lavoratore, visto che, secondo questo perverso ragionamento, lui era lì per… imparare a lavorare! In sostanza, non solo la formazione è spostata dalle imprese alla scuola, ma i giovani devono anche assumere i rischi connessi, che, come nel terribile caso di G. D., possono costare loro la vita.

Scaricare le responsabilità sempre sulla parte più debole è un’ipocrisia di Stato vile e inaccettabile. È giunta l’ora che lavoratori e studenti rivendichino insieme il rispetto per la vita e la dignità umana. Il costo pagato da queste due categorie per il mantenimento del profitto capitalistico non è più tollerabile.

Istituzioni Governative, imprese e sindacati devono tornare a incentrate il loro impegno al rispetto della vita e della dignità del lavoro.

 

Ciro Silvestri

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